Storia degli scavi
L’interesse e le esplorazioni archeologiche a Creta hanno avuto inizio attorno alla metà del XIX secolo. Fino ad allora l’isola era nota soltanto da episodi storici e mitici e il suo nome lo troviamo menzionato nelle fonti letterarie (Hom. Il., II, 648; Str. X, 4, 14). Fu il capitano T.A.B. Spratt, nel corso del suo viaggio a Creta realizzato nel 1851-1853, a localizzare con precisione il sito dell’antica Festòs.
Nel 1884 l’archeologo italiano Federico Halbherr dopo aver portato alla luce la Grande Iscrizione di Gortina, diede inizio alle ricerche sistematiche sull’isola. Da quel momento in poi fu un susseguirsi di scoperte, come lo scavo dell’Antro Ideo, che la tradizione identifica come la grotta in cui nacque Zeus, e del celebre Tempio di Apollo Pythio di Gortina.
In questo clima di fiorenti scoperte s’inseriscono le ricognizioni sistematiche nella pianura della Messarà. L’inizio delle ricerche si deve in particolare ad A. Taramelli che nel 1894 tentò di riconoscere l’estensione degli ovidiani Phaestia regna (Ovid. Metam., IX, 668).
Il 1899, anno dell’indipendenza di Creta dai Turchi, fu molto importante poiché vennero avviate ricerche più intense e sistematiche e fu costituita la Missione archeologica Italiana di Creta, divenuta successivamente la Scuola Archeologica Italiana di Atene, su emanazione della Scuola Archeologica di Roma, la quale rappresentava ufficialmente l’affermazione dell’archeologia italiana in Grecia, e soprattutto la prima missione italiana all’estero.
Il 2 giugno 1900, poco dopo la fine della campagna a Knossòs diretta dall’inglese Arthur Evans, iniziarono gli scavi sistematici a Festòs, prima sotto la direzione di Halbherr e poi di Luigi Pernier.
Mentre il Palazzo veniva portato alla luce molto velocemente, nel 1902 si decise di iniziare anche lo scavo nella località di Haghia Triàda, dove si ipotizzava la presenza di un altro insediamento.
Nel 1909 la campagna di scavo sembrò essere volta al termine, anche a causa delle tensioni politiche che di lì a poco sarebbero sfociate nello scoppio del conflitto mondiale. Furono eseguiti solo altri piccoli saggi di controllo e lavori di consolidamento delle strutture tra il 1928 e il 1932, a causa del deterioramento dello stato di conservazione dei resti portati alla luce.
Uno degli interessi maggiori, e di assoluta priorità del Pernier fu la pubblicazione scientifica delle relazioni degli scavi. In vita egli pubblicò il primo dei due volumi previsti de Il Palazzo minoico di Festòs, mentre il secondo fu pubblicato postumo, a cura della sua allieva L. Banti.
Con Pernier si chiude un importante capitolo della storia degli scavi italiani a Creta caratterizzato dal contributo di grandi scavatori e luminari della civiltà minoica come F. Halbherr, A. Taramelli, E. Stefani, L. Savignoni e G. De Santis, A. Mosso.
I lavori ripresero il 21 agosto 1950 sotto la direzione di Doro Levi, direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene dal 1947 al 1976, allo scopo di indagare gli strati più antichi del palazzo, e quelli che ne precedevano la costruzione. I risultati del primo anno di scavi portarono già il Levi all’idea che fosse necessario indagare anche il lato sud della collina, rimasto ancora inesplorato. Ebbe, infatti, modo di confermare che quell’area, fino ad allora considerata esterna al palazzo, faceva invece parte del primo periodo palaziale. Identificò un intero quartiere di abitazioni, il cosiddetto “Quartiere Levi”, che si elevava su tre livelli di strutture. La zona indagata riportò resti del Primo Palazzo e una totale assenza della fase Neopalaziale, mentre erano emerse importanti strutture e abitazioni, relative alla fase micenea, geometrica ed ellenistica.
In questi anni il Levi fu autore di due importanti volumi, Festòs e la civiltà minoica, in cui presentò i nuovi dati sull’area del Palazzo, criticò fortemente le datazioni assolute che Evans aveva proposto molti anni prima e alle quali anche il Pernier si era allineato, proponendo una nuova cronologia che costituisce motivo di dibattito tra gli studiosi ancora oggi.
Diversi furono gli allievi e studiosi che collaborarono con il Levi durante la sua longeva attività di scavo a Festòs, tra questi anche E. Fiandra e P. Pelagatti che si concentrarono maggiormente sulla comprensione del sistema architettonico del Palazzo e sulla produzione ceramica. Clelia Laviosa, la cosiddetta “signora degli skoutelia”, si dedicò allo studio del periodo di continuità tra il periodo minoico e miceneo, al commercio marittimo e ai contatti e scambi tra Creta, le isole dell’Egeo e l’Egitto.
Nel 1977, con Antonino Di Vita come nuovo direttore della SAIA, furono ripresi gli scavi ad Haghia Triàda per procedere a una revisione delle aree già indagate da Halbherr agli inizi del secolo, con lo stesso scopo, come per Festòs, di controllare le cronologie, con l’idea che Festòs e Haghia Triàda potessero essere considerate come un unico polo.
Nel 1984 furono celebrati i cento anni di scavi a Festòs con l’organizzazione della mostra Creta Antica. Cento anni di archeologia italiana (1884-1984).
Il terzo capitolo della storia delle ricerche nel territorio festio si aprì nel 1994, quando Vincenzo La Rosa e Filippo Carinci avviarono un nuovo programma di revisione dei vecchi scavi, con l’obiettivo di controllare e definire meglio la stratigrafia del Levi, i cui studi e pubblicazioni vengono pubblicati nella rivista Creta Antica. L’ultimo scavo a Festòs risale al 2004, mentre opere di pulizia e saggi di controllo degli scavi Levi sono tutt’ora in corso.
Tuttavia la messa in luce delle evidenze palaziali e le straordinarie scoperte archeologiche posero a margine interessi sistematici sul territorio nelle sue forme diacroniche di occupazione. Nonostante la continuità di vita, che copre un arco cronologico che va dal Neolitico fino all’età tardo antica, le ricerche sono state quasi esclusivamente concentrate sul periodo minoico e circoscritte topograficamente alla collina di Kastrì.
Negli ultimi anni l’interesse per le fasi post-minoiche di Festòs è senza dubbio cresciuto grazie anche ad alcuni studi, in particolare quelli meritori di V. La Rosa e di N. Cucuzza, che hanno cercato di riorganizzare la documentazione archeologica, epigrafica e storica relativa all’area del Palazzo e al territorio circostante. Tuttavia per Festòs resta ancora indefinito il rapporto tra le strutture palaziali sulla collina e il pianoro sottostante in età minoica, così come insufficiente è la conoscenza delle fasi della città di età arcaica, classica ed ellenistica, non certamente limitate alla collina di Haghia Fotinì – dove furono intercettate e in gran parte distrutte per mettere in luce le strutture palatine – ma estese al plateau che si apre a sud del palazzo e che attendono solo di essere portate alla luce. Da chiarire sono anche le fasi più recenti, quelle relative alla romanizzazione e alla fase bizantina dal momento che diversi elementi lasciano ipotizzare l’esistenza di un’articolata forma insediativa anche dopo la distruzione della città.
In questo quadro si inseriscono le ricerche di superficie, sia quelle greco-americane degli anni Ottanta, poco utilizzabili sotto il profilo della distribuzione dei siti (i risultati si basano su documenti molto scarni) sia quelle italo-greche del Progetto Festòs che, di pari passo con lo studio e la pubblicazione dei vecchi scavi, si propone di ampliare la conoscenza dell’abitato di Festòs in senso diacronico, delle forme di occupazione e dello sviluppo urbano.